Guardare avanti

 di Ugo Basso

Mi piacerebbe riuscire sempre a trovare buone notizie, fili di speranza, prospettive di equità. Riesco, grazie a Dio, a trovare buone notizie, momenti felici, incontri graditi nel quotidiano individuale, ma molto meno in ambito sociale e politico, vuoi in Italia, in Europa, vuoi nel mondo. Me ne rendo conto, e me ne rammarico, anche rileggendo i miei interventi in questa rubrica che non vorrei paresse un noioso cahier de doleances, insignificante espressione di frustrazione senile.
Sarà paradossale, ma viviamo, in Italia, anche abbastanza bene – i ristoranti sono pieni, la fine settimana si viaggia, i telefonini si aggiornano –, ma chi pensa ha la sgradevole sensazione che troppo a lungo avanti cosí non si possa andare, che ogni giorno potrebbero arrivare notizie sconvolgenti dal terrorismo, dai conflitti, dagli scatenamenti climatici e che la politica, almeno nei personaggi che oggi la incarnano, sia del tutto ininfluente nel governare questi problemi. Si chiama emergenza la normalità, non si costruiscono progetti, soprattutto se comportano qualche decisione impopolare, e ci si lascia dominare dal fatalismo: speriamo che piova.
Ciascuno cerca di sopravvivere al meglio, cerca di godersi quello che può, cresce i figli come principini a cui sempre obbedire con il timore che domani qualcuno, sia il clima impazzito, sia l’invasione degli stranieri possa distruggere quel benessere che ci si è procurato. E si cercano capri espiatori, sia l’euro o siano i migranti, si rifiutano le regole, mentre cresce il razzismo e l’ignoranza storica – o qualche perverso potere ancora nell’ombra? – sdogana i fascismi. Per fortuna in qualche caso l’autorità ha doverosamente applicato la legge vietando manifestazioni apologetiche e denunciando gli organizzatori: ma ci vuole altro perché una cultura devastante sia ripensata.
La prima difesa della cultura democratica è la conoscenza e la non tolleranza di informazioni distorte, anche a livello personale. Faccio due esempi. Il referendum sull’autonomia promosso dalla regione Lombardia e votato lo scorso 22 ottobre. La denominazione sull’autonomia è ingannevole: l’elettore ha diritto di pensare che, in caso di vittoria del SI, la regione avvia un processo di autonomia. Invece semplicemente la vittoria del SI autorizza una trattativa della regione con il governo, peraltro già prevista dalla costituzione. In realtà però l’inganno è doppio, perché, restando vero quello che ho detto, i promotori del referendum intendevano far passare l’idea che quel SI sarebbe stato il primo passo per ben altro che la trattativa con il governo.
E continuo: il referendum, come si sa, è stato una sconfitta dei promotori: gli elettori della destra – salvo Fratelli d’Italia –, insieme a quelli del movimento 5stelle e a una consistente parte del PD, trascinata da sindaci autorevoli, non hanno raggiunto neppure il 40%, dunque una minoranza importante, ma ben lontana dall’essere maggioranza: non sarebbe neppure stato raggiunto il quorum, accortamente e strategicamente rimosso. La maggioranza dei lombardi o è disinteressata dalla questione o è contraria. Pure l’impressione accreditata dai media, megafono dei promotori, è che si tratti di una vittoria. Si giudichi come si vuole il referendum e il risultato: resta una manipolazione dell’informazione.
La seconda nota riguarda il rientro in politica – posto che se ne sia mai allontanato – dell’ex cavaliere, interdetto, per sentenza passata in giudicato, dai pubblici uffici. In uno stato di diritto, come vorrebbe essere il nostro, la magistratura, indipendente dal potere legislativo come da quello esecutivo, garantisce l’applicazione della legge a tutela di tutti i cittadini. L’indicazione di quella sentenza – non espressione di ostilità politica, ma formulata per reati commessi e confermata in successivi gradi di giudizio –, è chiara e mi pare che non dovrebbe riguardare solo formalmente la possibilità di rivestire cariche pubbliche, ma anche la presenza nella vita politica: quasi una dichiarazione di inaffidabilità della persona. Sappiamo, viceversa, come va. Sostenere che il consenso popolare vale piú di una sentenza è molto rischioso: in una democrazia la sovranità popolare si esprime nell’elezione dei rappresentanti con il compito di fare le leggi, come chiaramente indicato già nel primo articolo della costituzione. La storia insegna, a partire dalla rivoluzione francese, quanto sia pericoloso fare del popolo un tribunale o lasciare una decisionalità non mediata e dominata dall’emotività.
Ribadisco che un’informazione corretta e un ossequio alla legge sono irrinunciabili pilastri della democrazia, che però dovrà produrre progetti, risolvere problemi, davvero guardare avanti. Non voglio fare discorsi di campanile: ma un testo come l’enciclica Laudato si’ offre davvero una ricchezza progettuale in molti ambiti, sostanzialmente disattesa sia dalla grande politica sia dagli stessi cristiani, salvo lodevoli esperienze di nicchia. Proviamo davvero a pensare al nuovo, a una società fondata sull’equità e sulla tutela dell’ambiente – peraltro già propugnate dalla costituzione – e non compiacerci  che stiamo  uscendo dalla  crisi perché siamo tornati  ai livelli di quindici  anni fa!