Non é il papa, é il vangelo

di Giorgio Chiaffarino

Un amico che stimo ha scritto tempo addietro a proposito di papa Francesco: «vigoroso nella denuncia, meno pregnante nella diagnosi, debole nella terapia». Sono passati degli anni, e chissà se oggi scriverebbe ancora le stesse cose. Nel tempo abbiamo capito che il papa non si è prefisso interventi dottrinali e le contingenze, come abbiamo visto quando a Firenze ha parlato alla Cei (26-29 ottobre 2015), e come appare nella Evangelii gaudium (24 novembre 2013, n 16), le ha lasciate ai vescovi. La terapia che ripetutamente consiglia è semplicemente, si fa per dire, il vangelo. Questa novità ha spiazzato tutti e ha creato grandi reazioni: ne abbiamo letto di tutti i colori. Non tanto da parte di laici cattolici o cristiani, oppure di persone apparentemente lontane dal cristianesimo. Le resistenze e i rifiuti peggiori vengono, sembra, dall’interno della chiesa e, soprattutto, da alcune fasce di importanti personalità.
Mi son preso la briga di cercare di approfondire. Mi sono convinto che il problema è grave e riguarda tutti noi. Non si tratta del papa, che dice o non dice, fa o non fa, se spesso cosí sembra che sia questo è un falso che nasconde la realtà. Il Signore prima di tutto ci chiede «Convertitevi e credete al vangelo». È il vangelo il vero problema di noi che ci diciamo seguaci del profeta di Nazareth, un vangelo che è quello di sempre, non è cambiato e possiamo domandarci come mai ieri non creava problemi e oggi presenta cosí tanti drammatici contrasti. Come è stato anche autorevolmente rilevato per tanti anni la chiesa non è stata vangelo, ma ora può diventarlo.
C’è un testo recente, un po’ lungo ma prezioso, che dà delle linee guida e abbiamo una idea della crisi che si innesca quando si cerca di ritornare al vangelo. Semplicemente al vangelo, quello sine glossa, come si è detto tante volte mentre in maggioranza la chiesa se ne era discostata. Mi riferisco alla Evangelii gaudium, una esortazione apostolica che vale come, e forse piú, di una lettera enciclica e alle tante pagine che dedica al nostro tema, ma in particolare ai numeri 34/47.
Solo per accennare agli aspetti che appaiono piú significativi tra quelli all’origine dei contrasti, direi del rilancio del concilio Vaticano II, per troppo tempo sottoposto a una interpretazione restrittiva, e da considerare la base di un nuovo paradigma; la misericordia (ma è troppa?); una chiesa inclusiva che cambia il suo stile; un dinamismo interpretativo che non trascura la tradizione, ma la legge come strumento per costruire il futuro sempre considerando la necessità di un sistema comunicativo (linguaggio, gesti, riti) adeguato ai diversi tempi. Che dire poi del rilancio della gerarchia delle verità di cui al decreto Unitatis redintegratio del Vaticano II (36), della auspicata fine della dottrina monolitica senza sfumature (40) e, infine, della riscoperta di una verità a proposito della Eucaristia, che non è un premio riservato ai buoni (?) ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli (47)? È questo nostro un piccolo antipasto di una ricca cena su cui varrebbe la pena di ritornare per approfittare del fondamentale nutrimento che sarebbe in grado di fornire a sostegno del popolo di Dio e del suo pastore, specie nei giorni di burrasca.