editoriale di marzo aprile

La luce che promana dalla Pasqua di morte e risurrezione di Gesú illumina le nostre tenebre, quelle di cui dice Giovanni nel preambolo del suo Vangelo: «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno sopraffatta» (v 5), «Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene al mondo» (v 9). Questa luce è nel mondo, ma gli uomini, impauriti, chiusi nelle proprie presunte sicurezze, rifiutano spesso di accogliere, perché proprio la luce svela e rivela le nostre ombre. L’ombra è il lato oscuro dell’esistenza personale, relazionale, sociale, collettiva. Il male è evidenziato/illuminato dal bene. Vita e morte sono indissolubilmente collegate. Il negativo marca il limite di ogni realtà e il limite di ogni vera conoscenza. Prenderne coscienza è il primo passo per il cammino della speranza. Inevitabilmente genera paura, una paura da affrontare poiché è un’emozione primaria di difesa provocata da una situazione di pericolo di fronte alla quale ci sentiamo indifesi e vulnerabili.
Oggi, nel nostro mondo interconnesso, in cui tutto si comunica, la guerra è stata riabilitata come strumento di soluzione delle contese, il terrorismo minaccia la convivenza, le epidemie si diffondono rapidamente, la crisi ecologica modifica ambienti e meteorologia, masse innumerevoli di persone si spostano, gli stati sono sempre piú fragili, l’ordine internazionale appare impotente, la sfiducia e il timore del futuro si diffondono. La paura spinge a restringere la propria visione della realtà a sé e pochi altri, ad affidarsi a leader rassicuranti, cui si delega la protezione. Il populismo alimenta le paure e si presenta come un presidio di sicurezza.
Ma occorre chiedersi se ha senso tanta paura. Non dobbiamo dimenticare i progressi compiuti nella storia delle nostre civiltà, che hanno migliorato le condizioni di vita di tanta parte dell’umanità, e l’insistente invito della Scrittura a non avere paura. Avere coraggio nel guardare al mondo con speranza non vuol dire senza realismo. Oggi ci sono ancora risorse di pace e di umanità per renderlo migliore.
Fare i conti con i limiti, con le fragilità, con le precarietà, con le minacce, con i fallimenti è un cammino, certo doloroso, per una visione non scettica, rassegnata, ribellistica, ma aperta a un trascendimento cosciente e operativo, che generi una speranza attiva, che ci consenta di guardare al futuro come possibilità di una umanizzazione per le generazioni a venire, fiduciosi nelle loro libere scelte. Tante le vie per un vigile, attento, creativo ripensamento della nostra vita personale e sociale, se ci lasciamo illuminare dalla luce della speranza.
Occorre elaborare nuovi pensieri, inventare percorsi di trasformazione, abbandonare l’hybris (tracotanza, orgoglio, sete di potenza), reagire alle manifestazioni di violenza/prevaricazione. Questi atteggiamenti sono fondamentali per affrontare le nuove e inedite situazioni e le paure suscitate per incamminarsi verso quell’uomo planetario vagheggiato da padre Balducci, un uomo che si prende cura di ogni frammento di vita, che ha a cuore il bene di tutti, la vita nella sua totalità. È auspicabile la maturazione in ciascuno di una coscienza consapevole di poter contare, informandoci, appassionandoci, partecipando, nonostante l’irrilevanza individuale.

i Galli