Cibo e sovrappopolazione

di Dario Beruto

Il cibo, secondo il parere sostanzialmente concorde di antropologi e sociologi, svolge per la specie umana molteplici funzioni. In primo luogo esso è nutrimento del corpo, ma è anche un elemento determinante per lo sviluppo di ogni attività, sia intellettuale, spirituale o manuale, di ogni individuo e della collettività a cui appartiene.
Dunque, il cibo rinvia alla cultura e la cultura rinvia al cibo, ma il legame tra i due termini è ben lungi dall’essere uguale in ogni regione del Pianeta. Già nel V sec. aC, lo storico greco Erodoto definiva i popoli asiatici e africani via via conosciuti dai greci riferendosi al loro cibo, cosí da scrivere di mangia-cavallette o di mangia-tartarughe1.
Del resto anche da noi, con spiccata centralità localistica, si sono spesso definiti gli appartenenti ad altri usi e costumi in base alle loro abitudini alimentari, come mangia-polenta o mangia-fagioli, quasi a significare che l’identità di un essere umano passa prima dalla sua pancia che dalla ricchezza del suo pensiero proiettato oltre i confini del borgo. Oltre a questa visione del mondo, chiamata appunto gastrocentrica, il grande antropologo francese Claude Lévi-Strauss (1908- 2009), ha individuato nel cibo, nella sua ricerca, nella sua cottura e nella sua degustazione, il fattore che ha reso umani gli uomini.
Allora, se venisse a scarseggiare il cibo, la nostra specie non rischierebbe di degradarsi al livello dove impera la legge del mangiare o essere mangiati?
1 Ernesto Di Renzo, La problematizzazione antropologica del cibo. Università di Roma Tor Vergata, dispense 2012-2013

Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • Un rischio probabile
  • Corsa alle terre fertili in Africa
  • Il pianeta cibo-cultura
  • Cibi con valore aggiunto
  • Nessun uomo è un’isola