Da dove cominciare?

di Chiara Colombo

 

Buenos Aires, 2019. Quando chiediamo ai tassisti di portarci a ESMA, alla ex scuola militare di Buenos Aires, uno sembra ignaro dell’esistenza di questo luogo nella sua città, l’altro ci chiede che cosa andiamo a fare in quel posto.

Quel posto è una scuola militare, non lontana dal centro della città che negli anni dal 1976 al 1982 è stata utilizzata dalla giunta militare, che allora governava il paese, come centro di reclusione dei prigionieri politici. In quel periodo l’ESMA fu trasformato in un centro di detenzione le cui violenze sembrano inenarrabili, le testimonianze sono difficili da leggere tanto sono crude e violente. I prigionieri venivano torturati in modo terribile, costretti a vivere in stanze microscopiche, bendati e inconsapevoli di qualsiasi cosa succedesse intorno a loro. Il giorno piú temuto era il mercoledí: il mercoledí era il giorno dei transfer, degli spostamenti verso i quali inizialmente i prigionieri nutrivano grandi speranze, ma che fu presto chiaro dove portassero. Il mercoledí era il giorno dei voli della morte: un numero di innocenti, ancora oggi non precisato, dopo tanti anni, veniva caricato su aerei militari, drogato e gettato in mezzo al mare, fatto sparire per sempre. Oggi ricordiamo quei prigionieri come desaparecidos: perché, purtroppo, gran parte di coloro che sono stati rinchiusi in quegli edifici non hanno mai fatto ritorno alle loro famiglie. Le vittime principali di questo sistema di distruzione di un’intera generazione di oppositori erano i giovani, gli universitari come lo sono io oggi. Ragazzi che, mossi dal desiderio sconfinato di cambiare qualcosa, si sono aggregati a un partito di opposizione: magari qualcuno di loro aveva solo partecipato a una riunione o aveva scritto un solo articolo sul giornalino dell’università, cosí, per divertirsi. Molti di loro erano esattamente come me: la mia età, i miei sogni, i miei problemi con le amiche o con i ragazzi, gli screzi con quelle famiglie che non avrebbero piú rivisto. E questo è quello che mi ha fatto piú paura: l’idea costante che fossero tutti innocenti e che avrebbero tutti potuto essere me.

E questa paura non passa. Non passa perché, tornata in Italia, dall’altra parte del mondo e quasi 40 anni dopo quegli eventi, vedo lo striscione inneggiante a Mussolini presente nelle manifestazioni del 25 aprile, vedo che i circoli di Casa Pound occupano ogni giorno le colonne dei giornali, vedo le aggressioni ai danni di persone inermi colpevoli solo di non aver approvato, vedo il servizio della tv nazionale che esalta il fascismo commemorando la morte di Mussolini. E mi coglie una rabbia quasi incontenibile, il desiderio di fare qualcosa insieme a un senso profondo di impotenza.

Che cosa posso fare io? Sarò mai tanto coraggiosa come quei ragazzi che hanno osato sfidare il regime militare in argentina 40 anni fa? Ma, soprattutto, mi chiedo perché noi italiani siamo tornati indietro invece di andare avanti? Perché non possiamo apprendere dalla storia degli altri paesi (e dalla nostra) gli errori che hanno portato a tragedie immense? Come possiamo non notare le somiglianze spaventose tra il passato e il presente?

Di esperienza di vita io non ne ho molta: studio Scienze Politiche, nella mia vita vorrei fare qualcosa che lasci il segno almeno nei cuori di qualcuno, ma non vorrei ripetere gli errori che altri hanno già fatto. Vorrei poter concentrare le mie energie in sfide nuove, non dover sprecare tutto il fiato che ho in gola per urlare alle manifestazioni che quello che stiamo vivendo lo hanno già vissuto i nostri nonni, pagando un prezzo altissimo, e noi lo stiamo dimenticando a nostro danno.

Questi pensieri mi mettono tanta tristezza e mi fanno riflettere. Vorrei essere pronta a fare qualcosa di utile: ho voglia di sporcarmi le mani. Eppure c’è una domanda davanti alla quale costantemente mi fermo: da dove devo iniziare? In che modo posso impiegare le mie energie insieme a tanti ragazzi giovani, stufi di questo sistema che, come dice la grande e allo stesso tempo piccola Greta Thunberg, «ci sta rubando il futuro»? Come possiamo fare che il dolore delle famiglie di quei giovani argentini e le cause per cui avevano lottato non si rinnovino anche a casa nostra ?