Ernesto Cardenal: la rivoluzione dell’amore

di Silviano Fiorato

Quando, la sera del 2 marzo scorso, ho ricevuto la notizia della morte di Ernesto Cardenal avvenuta il giorno prima, nella mia mente si è riaccesa un’antica luce: sono passati piú di quarant’anni da quando qui al Gallo parlavamo tanto di lui, monaco rivoluzionario e poeta, ammonito da papa Wojtyla per aver accettato l’incarico di ministro della cultura nel governo socialista del Nicaragua, nel luglio del 1979. Era nato in questo paese centroamericano il 20 gennaio del 1925 e, dopo aver studiato a una scuola di gesuiti e alla Columbia University di New York, a trentadue anni era entrato come novizio nella trappa di Getsemani, insieme allo scrittore e poeta mistico Thomas Merton, che fu poi suo amico per tutta la vita. La vocazione monastica di Cardenal – «non propriamente sacerdotale, bensí monastica», aveva voluto precisare –, fatta di lavoro agricolo e di studio, si era manifestata precocemente: insegnare ai contadini nuove tecniche, creare cooperative, era stato il suo primo impegno.
Nel 1954, durante la dittatura di Somoza, sostenuta dagli Sati Uniti, scrive un libro di denuncia, Rebelion de abril, e nel 1959, appena uscito dal Getsemani, ospite dei Benedettini a Cuernavaca, in Messico, pubblica un libro di poesie, Canto all’amore, che lo farà segnalare come uno tra i piú rilevanti poeti americani. Poi si trasferisce in Columbia, dove nel 1965 viene ordinato prete; e qui scrive due libri: Salmi degli oppressi e Oracion por Marilyn Monroe.
Su consiglio di Thomas Merton, si trasferisce poi nell’isola di Solentiname, nel lago del Nicaragua, e vi fonda una comunità di campesinos, ai quali farà scrivere, sotto la sua guida, un libro di commenti al Vangelo: Vangelo a Solentiname. Un incontro con Fidel Castro lo convince a dedicarsi anche alla politica per sollevare le condizioni degli oppressi: un impegno per tutta la vita che lo porterà ad accettare una carica ministeriale nel nuovo governo socialista del Nicaragua, dopo la rivoluzione senza vendetta che ha abbattuto Somoza, a cui ha partecipato. Questo incarico non è gradito al papa Wojtyla, che manifesta apertamente il suo dissenso in occasione della sua visita a Managua nel 1983: appena sceso dall’aereo, mentre tutti lo salutano, Ernesto Carnedal si inginocchia davanti a lui per baciargli l’anello; ma lui lo respinge, e la fotografia di questa umiliante scena fa il giro del mondo. I vescovi nicaraguensi, forse per un tentativo di conciliazione, consigliano a Cardenal e ai quattro preti suoi collaboratori di rinunciare temporaneamente alla celebrazione delle messe e ad amministrare i sacramenti.
Successivamente però arriverà per lui dal Vaticano la formalizzazione della sospensione a divinis.
Ricordiamo che Cardenal nel febbraio 2019 è stato riabilitato a pieno titolo da papa Francesco con una lettera al nunzio apostolico del Nicaragua che gli ha consentito di celebrare la messa.
Il punto focale del suo dissenso e della reazione ufficiale della chiesa cattolica era stata la compatibilità tra cristianesimo e marxismo, in quanto Cardenal considerava quest’ultimo senza alcun dubbio un valido metodo di analisi e di lotta contro l’oppressione:

Non c’è incompatibilità tra cristianesimo e marxismo. Non sono due cose uguali, sono diverse ma non incompatibili: il marxismo è un metodo scientifico per studiare e cambiare la società. Quello che fece Gesú Cristo fu presentarci delle mete di un’umanità perfetta che con Lui dobbiamo creare. Queste mete sono la fraternità e l’amore; non ci disse però quali metodi scientifici dovevamo usare per raggiungere questo scopo. È la scienza, in questo caso la scienza sociale, che deve dirlo. […] Se qualcuno però prende il marxismo in sostituzione del cristianesimo si sbaglia.

Queste parole erano state dette da Cardenal in un’intervista rilasciata al teologo Teofilo Cabestrero, con questa aggiunta:

Io non mi considero un politico, ma un rivoluzionario. Per rivoluzione intendo la pratica efficace dell’amore al prossimo, nella società e nell’àmbito individuale.

Aveva anche espresso la sua opinione sul celibato dei sacerdoti:

Forse nel futuro ci potranno essere sacerdoti sposati, come già ci furono in passato. Il sacerdozio non è incompatibile con il matrimonio; invece considero necessario il celibato per la vocazione monastica.

Circa il suo incarico di ministro precisa che

non è la mia vocazione e io l’accettai credendo che fosse per poco tempo. […] Molto spesso ho detto ai dirigenti di nominare un altro ministro della cultura e che mi si permetta di ritornare alla mia vita di Solentiname. […] Ma mi hanno risposto che per ora mi ritengono necessario.

Ernesto Balducci, nella prefazione al libro di Cardenal A Cuba, pubblicato nel 1975 da Cittadella Editrice, riporta queste parole dell’autore: «A Cuba il nome della carità è rivoluzione», e si comprende come nella situazione politico-sociale di quel tempo e in quella regione la lotta al capitalismo fosse prioritaria per giungere a una specie di «cristianesimo pre-cristiano».

Su questo sfondo – scrive Balducci – la Chiesa cattolica nelle sue istituzioni appare abnorme e posticcia […] che sconta la sua lunga solidarietà con il capitalismo imperialistico.

Va inoltre considerato, aggiunge Balducci, che in Occidente

la fede e la scelta rivoluzionaria hanno tutti i segni di un travaglio intellettuale in cui la prassi e la teoria si svolgono in due universi separati.

Forse anche per questo Cardenal non è stato abbastanza apprezzato nella sua concezione rivoluzionaria; eppure oggi che ci ha lasciato comprendiamo che la sua testimonianza può essere per noi un insegnamento e che la sua eredità non può e non deve essere perduta.
E certamente pensava anche a personaggi come Ernesto Cardenal papa Francesco quando, pochi mesi fa, scriveva, a proposito dell’America latina:

Non possiamo negare che il grano si è mescolato con la zizzania e non sempre i missionari sono stati al fianco degli oppressi, me ne vergogno e ancora una volta chiedo umilmente perdono (Querida Amazonia, 19).