Il Cristo di cui parliamo

di Ugo Basso

Il gruppo Viandanti propone la partecipazione a un progetto di lavoro nella prospettiva del sinodo proposto nello scorso ottobre da papa Francesco – finalizzato a un documento conclusivo e all’organizzazione di un convegno – per noi occasione di ripensamento alle domande: Di quale Dio e di quale Cristo parliamo, in chi crediamo, chi è Gesú Cristo vivente oggi nella Chiesa e nel mondo?

Tornare ai fondamenti

Ci siamo interrogati nel corso di un primo incontro sui fondamenti dell’esperienza religiosa di ciascuno che approdi o meno alla frequentazione della chiesa romana. Costruisco un testo organico naturalmente recuperando solo alcuni dei punti toccati da vari ricchi interventi. Torniamo sui fondamenti, da ripensare nel mutamento antropologico individuale e collettivo, consapevoli che non ci sono risposte definitive. Su questi fondamenti, chi ne ha desiderio, userà studio e fantasia per partecipare all’adeguamento di istituzioni e linguaggi di quella chiesa purtroppo immutata da quando, qualche decennio fa, l’arcivescovo Martini la denunciava in ritardo di secoli.
Mi introduco alla ricostruzione dell’incontro con una citazione, che mi pare utile al discernimento, di Gianni Baget Bozzo (1925-2009), prete genovese che qualcuno ricorderà, anche irritante e certamente contraddittorio, ma che pure ha offerto, almeno nell’ambito del pensiero, riflessioni su cui vale la pena tornare.

È possibile che la cultura occidentale superi l’agnosticismo e il materialismo e che Dio torni a essere oggetto di pensiero e la fede spazio dell’intelligenza? E quali modificazioni richiede oggi il discorso sul divino nella vita solitaria dell’uomo che ha perso le radici dell’appartenenza? Il volto divino appare oltre ogni figura religiosa, oltre ogni memoria. il Cristo diviene la chiave per comprendere la mutua immanenza di Dio e dell’uomo, presente in ogni condizione spirituale e storica.

Partiamo dalla domanda: chi è Gesú Cristo per noi, facendo eco alla domanda agli apostoli riferita dal vangelo: «Voi chi dite che io sia?». Si affronta la domanda in tre prospettive: verificare la credibilità di quello che abbiamo finora pensato con la disponibilità a nuove scoperte; che cosa significhi per noi individualmente e insieme; riconoscere la presenza nella chiesa e quindi interrogarsi su quanto la dottrina e la liturgia rivelino o nascondano.

Esseri umani e Mistero

Siamo in cammino verso il Regno nella cultura occidentale in cui ci è dato vivere, scientifica, tecnologica, informatica,economica (o finanziaria); umanistica, artistica, nelle diverse espressioni, religiosa, filosofica, etica? Ma che cosa è il Regno e chi è questo Gesú Cristo che ce lo addita? Naturalmente piú domande che risposte: ma la cultura ebraica e lo stesso Gesú ci invitano alle domande. Domande esistenziali che dimostrano consapevolezza del proprio essere umani e evitano il rischio della presunzione delle risposte: ciascuno ne troverà per sé senza arrestare la ricerca.

Proviamo comunque a dirci come ci riconosciamo esseri umani: nodi coscienti di una immensa rete universale che ha avuto un inizio, non sappiamo come evolve, non sappiamo se avrà una fine oppure continuerà all’infinito verso il mistero che può essere con la M maiuscola, la dimensione trascendente, oppure con la m minuscola, la dimensione immanente. Viviamo in tensione fra la sperimentabilità dell’esistente e la potenzialità di una speranza fatta di rischi,dubbi, aspirazione al bene, sensi di colpa, successi,insuccessi. Dunque la cultura prevalentemente scientifica-tecnologica nella quale siamo immersi non ha il monopolio della conoscenza della realtà e contribuisce al sapere umano con altre conoscenze.

Proviamo allora a riproporre la domanda: «Voi chi dite che sia Gesú Cristo?» La risposta catechistica attribuita a Pietro– «Tu sei il messia, il figlio del Dio vivente» – è inadeguata,ma gli stessi vangeli riferiscono diverse impressioni e diverse risposte, appunto a dire che non è cosí semplice trovarne una univoca: dallo stupore di fronte a uno che parla con autorità, scaccia i demoni (comunque si voglia intendere questa espressione, è certamente un’esperienza positiva), placa la tempesta, al rifiuto per spavento, perché non rispetta tanti aspetti della legge e pretende un rapporto privilegiato con Dio.

Dai vangeli una domanda

Nei vangeli la risposta verrà data nel racconto della trasfigurazione,dalla proclamazione del Padre «Questi è il Figlio mio, il diletto: ascoltatelo», che riprende quanto è stato riferito nell’occasione del battesimo nel Giordano, e risuonerà sulle labbra del centurione che assiste alla morte di Gesú, uno dei tanti ebrei condannati: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio!» Occorrerà la morte per riconoscerne l’identità di figlio di Dio, espressione che ne custodisce la particolare natura.

La domanda di Gesú segna comunque uno spartiacque perla sua collocazione. Dopo tanti dibattiti sulla sua persona e sulla sua missione, suscitati dallo stupore per le sue parole ei suoi gesti, ora è lui a porre la domanda di fondo alla quale non possiamo sfuggire, come singoli e come chiesa.

Non bastano piú le opinioni correnti, i sentito dire non bastano piú neppure le definizioni dei teologi. Quando questa domanda comincia a echeggiare nella nostra interiorità, personale o comunitaria, siamo rimessi in questione e inquietati:chi sono io per te?

I nostri tentativi di impossessamento religioso e le nostre manipolazioni vengono a nudo. Siamo invitati a fuoriuscire dai nostri criteri. È una provocazione permanente che il Cristo fa alla sua chiesa per aprirla alla novità del dono del suo Spirito. Le nostre sapienti categorie borghesi o pararivoluzionarie sono come svuotate.

Non solo nei vangeli

Siamo sospinti a scoprire il volto di Dio nella umanità povera di Gesú e dei fratelli. Un Cristo che non sarà mai riducibile a una cultura né a una teologia, ma che sollecita meraviglia, stupore e responsabilità, che ammira la bellezza e crea solidarietà lasciandoci vivere come persone normali in una dimensione diversa.

Ci è chiesta una risposta incarnata e questo ci toglie protezioni psicologiche e razionali: intravvediamo che non si tratta di comprendere una dottrina, un discorso su Dio, ma di incontrare una persona concreta, creature viventi che hanno ispirato alui, autorevole e credibile, la propria vita. Non spiega – resta il mistero della vita, del male, dell’oltre –, ma attrae e, con il neologismo dell’indimenticato antropologo gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), ci chiama ad amorizzare l’universo.

Diciamo un cammino che può anche non approdare a una fede trascendente, ma che nel Cristo trova motivazioni perla fede nell’uomo, purché disponibili, come abbiamo detto,a riconoscere il mistero, cioè a una ricerca che non è chiusa da quello che abbiamo in mente, sia pure imparato al catechismo. Lo sguardo libero andrà lontano e incontrerà il Cristo dei vangeli, in modo non previsto, in incontri inattesi,negli esclusi, negli emarginati, in chi chiede pace, non la nostra pace, e giustizia, non la nostra giustizia…

Pensiamo che la fiducia sia rivelatrice delle tracce del cammino verso il Regno, animato dalla speranza della resurrezione,ma che deve poter trovare realtà anche nella storia. La resurrezione non è la rianimazione di un cadavere o la presenza di un fantasma. Possiamo trovare ipotesi accettabili per la coscienza moderna nella dimensione quantistica della materia che rimette in discussione certezze scientifiche acquisite:certamente è la promessa che non tutto finisce, motivazione alla vita, alla fiducia che non può venire meno, senza pretesedi definizioni e certezze per realtà di cui siamo all’oscuro.

Ambigua necessità

Ci chiediamo a questo punto perché non abbiamo parlato della chiesa, perché non ci siamo detti che tutto questo siscopre vivendo, per esempio, la liturgia, sintesi e promozione di una visione comunitaria. Al contrario si riferiscono esperienze negative, incontri sgradevoli, posizioni scandalose,liturgie incomprensibili. Non è neppure il caso di riportare esempi: pure quasi tutti hanno esempi di maestri profeti,persone credenti, o anche no, ma soprattutto credibili, magari a partire da Francesco. Titolare di un potere non evangelico e al centro di un sistema gerarchico e autoritario questo vescovo di Roma ha suscitato apprezzamenti appassionati e rifiuti sgangherati proprio per il suo costante richiamo all’evangelo,a partire dalla famosa e scandalosa affermazione che Dio non è cattolico: un’affermazione forse banale, mache dissolve intere biblioteche di apologia ecclesiastica.

Difficile rispondere alla domanda se Gesú Cristo la chiesa, e le chiese, che portano il suo stemma siano luoghi privilegiati della sua presenza e lo rendano riconoscibile siano luoghi accoglienti e, come dovremmo ora dire, in cui la sinodalità è stile normale. Ciascuno ha esperienze diverse piú o meno edificanti o respingenti. Due punti sembrano però non discutibili: da una parte, tutto quello che di Cristo sappiamo e diciamo, anche oggi, di fatto ci è venuto dalla millenaria comunità dei cristiani;dall’altra, il Cristo che sentiamo predicare non è quello dell’evangelo,non è nella gran parte delle parole di omelie e documenti,non è nelle istituzioni e nei comportamenti, non è in una liturgia totalmente cultualizzata e ormai quasi impenetrabile.

Qual è allora la chiesa che sogniamo? Innanzitutto una comunità in cui ci sia posto per tutti quelli che desiderano essercie sia segno anche per chi non ci si riconosce. Che cosa possiamo fare noi per favorire la coincidenza fra il Gesú Cristodi cui abbiamo parlato e le istituzioni di cui non si può fare a meno? Davvero la chiesa è istituzione millenaria, complessa e articolata, da essere irriformabile? Nessun sinodo potrà quindi aspirare a risultati significativi, e lo stesso Vaticano secondo è stato ampiamente insabbiato? Dobbiamo accontentarci di una piú o meno accomodante religione fai da te?

Lasciamo agli amici lettori queste domande che magari riprenderemo,certi però che chi vive un’esperienza di fede non avrà una vita vuota; chi accoglie la predicazione di Cristo non sarà autore di violenza; chi conosce nella dimensione eucaristica la riconoscenza e la donazione non sarà egolatra. Troppi dicono e non fanno, molti cercano di fare e non riescono.