Il cuore della fede cristiana – 2

di Jean-Pierre Jossua

A partire dal momento in cui il mondo invisibile, l’anima, il divino, il soprannaturale non rappresentano piú delle evidenze culturali mediate dalle diverse religioni, ci si può chiedere se non si sta mettendo in gioco per i credenti qualcosa di essenziale – non come condizione preliminare della fede, ma come sua ineluttabile implicazione – relativamente a una scelta specifica.

Una realtà non accessibile all’intelletto

Ci sono i fenomeni del mondo, i soli che siano accessibili all’intelletto e, in questo senso, non ci è piú possibile pensare in altri termini che di un dopo Kant: l’essere delle cose rimane per noi inconoscibile tanto quanto l’esistenza o meno delle cause trascendenti. Tutto è stato detto, allora, e il materialismo non può essere superato?
Oppure si ammetterà che la singolarità, lo specifico o l’enigma dell’uomo (la sua coscienza di sé stesso, la sua esistenza etica, le sue attività creatrici e il fatto che vengano accolte dagli altri, la sua esperienza religiosa) indicati in maniera imprecisa come spirituali lascerebbero spazio alla possibilità di inferire e di rappresentare, di simbolizzare alla loro origine e a loro supporto un altro modo di essere, un’altra realtà non accessibile all’intelletto, che non può essere ridotta alla materia (la cui organizzazione, peraltro, la rende possibile, almeno per l’essere umano)?
Ammettiamo questa nostra enunciazione. Ma come andare al di là dell’ipotesi, sia che si tratti dell’uomo nella sua limitatezza o di un assoluto spirituale liberato dalla materia e che si potrebbe chiamare Dio?
L’agnosticismo è il punto estremo cui può arrivare il rifiuto del dogmatismo ateo? Di nuovo, questa soglia non potrà essere attraversata che grazie alla testimonianza derivata dall’esperienza e accolta dalla fiducia. Testimonianza di persone credibili, al tempo degli avvenimenti fondanti, nella storia, ai giorni nostri. Queste persone, ad esempio, confermerebbero di avere udito nella parola umana una parola di un altro ordine, invisibile ma reale, e da questa di essere stati trasformati. O ancora di avere fatto l’esperienza intima dell’Assoluto come di una realtà presente, viva dentro di loro, capace di trasformare il piú profondo di loro stessi e la loro vita concreta, il loro rapporto verso gli altri. Una testimonianza che può far credere a uno spazio spirituale e che può generare presso un analista imparziale, come Henri Bergson (1859-1941) o Jean Nabert (1881-1960), la convinzione che l’esperienza testimoniata dà una risposta alla domanda fondamentale che ho espresso prima.

Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • Al di là della morte
  • Essere nel Regno
  • La preghiera
  • Rinunciare a sé stessi?

 (2/2 fine – la prima parte nel quaderno di febbraio)