Il cuore violento dell’uomo

INTRODUZIONE
di Ugo Basso

Al cuore violento dell’uomo ci richiamano ogni giorno le notizie di politica o di cronaca, fra guerre con stragi di civili, respingimenti, femminicidi, cyberbullismo e odio diffuso con informazioni false. Sospiri e condoglianze ovviamente non cambiano di un apice la realtà, ma possono evitare l’assuefazione. A queste tragedie visibili dobbiamo aggiungere le infinite forme di violenza del potere: professionale, sportiva, psicologica, perfino affettiva, magari operata anche da noi, forse involontariamente, e di cui neppure ci accorgiamo o che ci sembrano giustificate.
Motivo di riflessione anche su queste nostre pagine, all’interno di uno schema che, nella sua estrema sintesi, difficilmente può essere rimosso: l’impossibilità di eliminare la violenza non può sopprimere il dovere di contenerla. Parliamo di cuore violento e non di violenza, perché la violenza potrebbe configurarsi come un incidente rimovibile dalla storia, mentre il cuore è una componente dell’uomo. Con una potente evocazione biblica, ricordiamo che la violenza non è scomparsa neppure dopo il diluvio, immagine di un’umanità distrutta perché violenta.
La violenza può – e deve – essere ridotta, dalle leggi, dall’impegno personale, dalla conciliazione dei contrasti senza l’illusione di annullarla. Occorre farci convinti che il contenimento è doveroso anche senza la speranza dell’eliminazione: la convinzione dell’impossibilità di eliminarla non può costituire un alibi al disimpegno. Non possiamo sottrarci alla tensione fra responsabilità e permanenza del male.
Esperienze nella storia ce ne sono state, dalla compassione del buddismo tesa a un rapporto di comprensione fra le creature, al perdono di Cristo che spegne ansie di vendetta per uno stile di vita riconciliato, al comunismo marxiano che considera la violenza prodotto della storia risolvibile definitivamente dalla rivoluzione. Si è parlato di escatologia materialista e comunque abbiamo visto come è andata a finire.
Senza scoperte originali né, tanto meno, pretese di esaustività, ci interroghiamo ancora, con voci e sensibilità diverse, per studiare con realismo, riconoscere complicità con la responsabilità a cui il gallo non smette di richiamare. Proponiamo l’argomento ripercorrendo due nostre ricerche condotte molti anni fa a cui aggiungiamo necessari aggiornamenti, qualche testo creato per questa pubblicazione e, ammirati e preoccupati, una pagina elaborata in pochi secondi dall’Intelligenza Artificiale. Il confronto con quanto abbiamo scritto oltre trent’anni fa appare impressionante nell’attualità di quei testi.
Decenni di grande evoluzione tecnologica ci hanno cambiato nel lavoro, nella comunicazione, nei comportamenti, perfino nel pensiero, ma la violenza non è regredita, forse si è ampliata, dalle minacciose guerre, al degrado dell’ambiente, all’odio diffuso nelle reti sociali, alle torture di cui ancora sentiamo parlare.
Riprendiamo interventi, inediti, di una giornata di studio organizzata nel giugno 1991 e testi pubblicati sul quaderno monografico del Gallo luglio-settembre 1992, entrambi con il titolo Il cuore violento dell’uomo, con molte firme di amici scomparsi, che ricordiamo con gratitudine. Occorre qualche cenno di ambientazione di quel momento storico.
Nel 1991 computer e telefonini erano ancora strumenti guardati con qualche stupore e forse invidia da chi ancora non poteva permetterseli o non era convinto della necessità. Si era appena conclusa la prima guerra del golfo (agosto 1990-febbraio 1991), con le rovinose conseguenze che sappiamo ed era in corso la guerra in Jugoslavia (agosto 1990-2001). L’ONU già rivelava la sua sostanziale impotenza nella soluzione dei conflitti. Presidente degli Stati Uniti, George H.W. Bush (1989-1993) succedeva a Ronald Reagan, l’artefice della deregulation. In Italia alla presidenza della repubblica Francesco Cossiga, a meno di un anno dalla conclusione del settennato; a capo di un governo di alleanza centrista per la settima volta Giulio Andreotti: siamo a un anno dall’assassinio del giudice Giovanni Falcone (23 maggio 1992), non lontani dall’implosione dei partiti storici e dall’inizio dell’era berlusconiana (10 maggio 1994), peraltro ovviamente allora non immaginabili. Respiriamo violenza e decidiamo di trattare il tema, anche se la caduta del muro di Berlino due anni prima aveva suscitato enormi speranze di pace rapidamente svaporate.
Le nostre considerazioni, come la grande storia, sono attraversate dal mysterium iniquitatis riconosciuto da Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi (2, 7) e di cui Sergio Quinzio documenta il perdurare: la consapevolezza di questa tragica realtà non deve rimuovere, in ambito personale, sociale e politico, l’impegno alla noviolenza. E, come diceva Roberto Benigni in piazza San Pietro a conclusione della Giornata mondiale dei bambini (25 maggio 2024), qualcuno saprà trovare una parola capace di porre fine alle guerre, ma tutti possiamo operare alla costruzione della felicità degli altri.

Ricordiamo con rimpianto e gratitudine gli amici che ci hanno lasciato, presenti nel nostro cuore e anche in queste pagine: Antonio Balletto, Renzo Bozzo, Mariella Canaletti, Carlo Carozzo, Maria Pia Cavaliere, Maisa Milazzo, Gustavo Poli.