Il ponte, icona di vita e di morte

di Erminia Murchio

Il nuovo PONTE sul Polcevera (Genova) è argomento comune, frequente e concitato di conversazione, discussione, dibattito, di articoli di giornali e riviste, di dispute della e nella politica, genovese, ligure, nazionale e, come sappiamo, indirettamente anche europea: lo è stato nei mesi della ricostruzione e lo sarà dopo l’attivazione e durante il processo per accertare le cause e le responsabilità del disastro. I ponti servono a superare barriere, impedimenti, alvei di fiumi, a connettere, collegare; sono grandi opere che hanno consentito all’umanità di mettere in atto cambiamenti significativi. Sono strettamente interagenti con il progredire della civiltà. Congiungono non solo territori, ma anche culture, epoche differenti: proiettano verso il futuro. Era stato cosí nel 1967 con la costruzione del Ponte Morandi. E può esserlo ancora, a condizione di non dimenticare che cosa è accaduto il 14 agosto di due anni fa.

Alla vigilia dell’inaugurazione

Scrivo alla vigilia dell’inaugurazione (peraltro, non la prima in assoluto), tradizionalmente occasione di autoincensamento. Se è accettabile che avvenga da parte di chi si è dato da fare (ed è oggettivo) per la sua ricostruzione, nella doppia veste istituzionale di commissario ad hoc e di sindaco della città, non lo è da parte di chi non ha mai mancato di metterci la faccia, nel senso di presenziare ai vari momenti mediatici per prendersi qualche merito (francamente, tutto da dimostrare). Ancor peggio la presenza di chi, decisamente senza alcun titolo, ne ha fatto palco per un comizio.
Crollato e ricostruito, il PONTE è, e rimane, il segno, il simbolo, il richiamo di un dolore inaccettabile, ingiustificabile per i parenti, gli amici, i colleghi di quelle 43 persone, vite spazzate via; nonché per chi ha dovuto abbandonare le proprie case per vederle poi abbattere insieme al proprio passato di ricordi, memorie, affetti, abitudini, frequentazioni, oltre che proiezioni nel futuro. Icona quindi di una ferita, una lacerazione, una spaccatura, nel senso letterale e metaforico del termine, per la Val Polcevera in primis, per ogni cittadino di Genova, ma anche per tutta la città, la Liguria e l’Italia intera. E dobbiamo rammentare che il crollo del Ponte Morandi dall’agosto 2018 ha anche inferto un durissimo colpo alla già difficile situazione economica della regione e alla vivibilità complessiva (accesso, mobilità, trasporti, logistica, socialità…)
Lo sfacelo sulle autostrade genovesi di queste settimane d’estate – causato principalmente dalla contemporaneità (evitabile?) della ripresa dei cantieri di manutenzione; dei sopralluoghi per verificare lo stato di rischio delle gallerie; delle chiusure dei caselli di accesso e transito intorno a Genova e Liguria in generale – ha creato disagi consistenti a singoli, famiglie, imprese, commercio, turismo… Una delle conseguenze di questo ulteriore disastro della logistica e dei trasporti di questa laboriosa e affascinante regione è stato lo spostamento di spedizionieri, autotrasportatori e altri operatori portuali verso altri scali, da cui un molto preoccupante blocco del porto principale.

Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • Riconoscenza per chi ha ricostruito
  • Ma non sia una festa
  • Spazi per la cultura