La donazione del corpo

di Silviano Fiorato

La donazione degli organi è diventata ormai, fortunatamente, una pratica diffusa per regalare agli altri la possibilità di vivere ancora; e anche per avere la consolazione di far sopravvivere una parte del corpo di un caro defunto.
Ma mentre questo atto meritorio ha grande risonanza mediatica, non altrettanto accade per un’altra donazione post-mortem: la donazione del proprio corpo.
L’utilità di questa donazione deve essere ancora divulgata anche tra i medici, cui spetta il compito di utilizzarla a beneficio di tutta la società; infatti, il suo duplice scopo riguarda la formazione dei giovani medici e il perfezionamento della chirurgia.
La formazione medica concerne l’acquisizione de visu dei dati anatomo-patologici del corpo umano sui riscontri autoptici da parte degli studenti in medicina e degli specializzandi del settore; il perfezionamento della chirurgia consente lo studio di nuove tecniche piú efficaci o piú complesse.
La carente disponibilità di cadaveri non consente attualmente di soddisfare queste esigenze; spesso i chirurghi italiani debbono affrontare il disagio e la spesa di recarsi all’estero a frequentare corsi di formazione e di esercitazione.
Varie Società scientifiche collegate al Collegio Italiano dei chirurghi si sono fatte carico di questo problema, creando centri operativi presso le Università di Padova, di Bologna e di Torino. Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha formulato in proposito un preciso documento, che è stato oggetto di un incontro presso la sede genovese del Centro Universitario di Bioetica diretto dalla professoressa Luisella Battaglia (di cui abbiamo letto importanti contributi anche su questa rivista, ndr).
Nel documento viene premesso che la Costituzione della Repubblica Italiana contiene due articoli che riguardano, sia pure indirettamente, l’argomento in oggetto: sono l’articolo 9 (sviluppo della cultura e della ricerca) e l’articolo 32 (tutela della salute per l’individuo e la collettività).
L’attuale normativa riguardante l’uso dei cadaveri per motivi scientifici risale a un Regio Decreto del 1933; il Decreto prevede che le persone morte da almeno 24 ore possono essere riservate all’insegnamento e alle indagini scientifiche a condizione che siano totalmente sconosciute e prive di familiari fino al sesto grado o di vincoli associativi. Il prelevamento e la conservazione dei cadaveri devono essere autorizzati ogni volta dall’Autorità sanitaria. In questo documento la donazione del cadavere non era ancora prevista, ma neanche era contrastata.
Peraltro qualche disposizione pubblica al riguardo era già stata emanata all’epoca della costruzione dei primi teatri anatomici. Nella Repubblica Veneta, durante il XVI secolo, vigeva la disposizione di fornire ogni anno due corpi di giustiziati (un uomo e una donna) per dissezioni scolastiche; se veniva a mancare la fornitura si suppliva con un mercato illegale: morti sottratti alle famiglie per poche monete o addirittura rubati, magari dopo sanguinose risse con i parenti. La faccenda era cosí diffusa da essere considerata una piaga sociale.
Per contrastare questo andazzo si verificò la prima proposta di donazione del proprio corpo: la dispose uno studente durante una malattia ritenuta mortale, che invece esitò in una guarigione; lo studente era Francesco di Sales (1567-1622), poi proclamato santo e protettore dei giornalisti. È quindi evidente che già nel Cinquecento era maturata la convinzione che il corpo umano fosse utilizzabile come strumento di studio e che il suo uso venisse
regolamentato. Non si può dire che da allora a oggi si sia fatta molta strada nel merito, forse per difficoltà di ordine psicologico. Forse sussiste in molti di noi un certo culto della nostra corporeità che si estende oltre la morte, nonostante si diffonda la pratica della cremazione. Ma basterà convincerci che certe patologie devastanti, come l’Alzheimer e il Parkinson, potrebbero essere studiate piú a fondo con una maggiore disponibilità di cervelli, per smuovere le nostre incertezze.
Stabilire le norme procedurali per la donazione del corpo non dovrebbe comportare particolari difficoltà: dovrebbe bastare una disposizione testamentaria o una dichiarazione anticipata nel testamento biologico, oppure una sottoscrizione su pubblico registro o su supporto informatico.
Tutto dipenderà dalla libera volontà del donatore con l’auspicabile coinvolgimento dei familiari e l’eventuale designazione di un fiduciario che si occupi delle modalità esecutive.
Tutte le «procedure organizzative e le eventuali soluzioni normative» previste dalla futura legislazione dovranno ispirarsi – sottolinea il citato documento del Comitato Bioetico – al pieno rispetto del corpo della persona, anche per il suo valore simbolico e affettivo.
Questa, per sommi capi, è l’indicazione di una auspicabile iniziativa per appoggiare un movimento di opinione rivolto al bene comune.
Chissà che il nostro corpo senza vita non possa cosí diventare un futuro dono a qualche persona o un piccolo punto nel grande libro della scienza.