La passione di Cristo secondo Giovanni Testori

di Vito Capano

L’intestazione della mostra (In)Croci allude al dialogo tra due cicli di disegni e dipinti, realizzati da Giovanni Testori rispettivamente negli anni ’40 e ’80 del secolo scorso, e le Croci del museo Amedeo Lia di La Spezia che la ospita. È stata curata da Davide Dall’Ombra (Associazione Testori) e Andrea Marmori (Lia) in omaggio all’autore nel venticinquesimo della morte.
La passione di Cristo è tra i soggetti piú diffusi nella storia dell’arte occidentale e nel museo spezino ve ne sono numerose testimonianze, da Lippo di Beninvieni (pittore fiorentino vissuto fra il XIII e il XIV secolo) all’oreficeria medioevale di Limoges. Il tema della Croce e della Crocifissione è tra i piú rilevanti nella produzione figurativa di Testori e la mostra offre l’opportunità di una riflessione sul rapporto tra fede e arte e tra antico e contemporaneo.
Giovanni Testori (1923-1993), drammaturgo, scrittore, poeta e critico d’arte contemporanea, dall’esistenza inquieta, fu uno degli intellettuali piú versatili del novecento italiano, protagonista di una clamorosa conversione da un ateismo radicale a un cattolicesimo diventato animatore della sua vita e della sua produzione nei diversi settori. Sin da giovanissimo nutrí un amore incondizionato per la pittura in cui si cimentò direttamente. Per lui la pittura è passione, azione, impegno. Nel ’46 aderí al Manifesto del realismo («L’Argine » numero II, marzo 46), affermando che occorre partire dalla realtà e non di potervi arrivare; fu sodale con l’esperienza della scuola milanese uscita da Corrente e compagno di strada dei pittori Morlotti, Cassinari e Guttuso.
Il primo ciclo sul tema della Crocifissione risale agli anni tra il ’40 e il ’50 e si compone di 26 disegni-studi preparatori, scoperti pochi anni addietro, che illustrano il processo creativo culminato nel dipinto del ’49 (Crocifissione 49), olio su tela 120×100, considerata la sua opera piú importante e complessa. Nel ’50 Testori, deluso per l’incomprensione dei padri serviti che avevano fatto ricoprire gli affreschi dei quattro evangelisti da lui realizzati nel ’48 nelle vele della cupola absidale della chiesa di san Carlo al Corso a Milano, decise di cessare la sua attività pittorica e di distruggere la gran parte delle tele. Tenne però sempre con sé la Crocifissione del ’49.
Il secondo ciclo risale agli anni ’80-’81 e si compone di 20 dipinti a pastello grasso e matita su carta, in cui gli esperti colgono gli influssi di Graham Sutherland e Francis Bacon. In essi la sagoma del Cristo crocifisso è deformata e il corpo molle è ripiegato su se stesso, mai è rappresentato il volto; figure oniriche, surrealiste.

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