Prostitute

di Mirio Soso

Ringraziamo ancora una volta Mirio Soso, gallo di anni lontani, di questi ricordi di appassionata umanità.

Al ritorno del turno di lavoro pomeridiano (h. 15-23) passavo, a notte fonda, dentro i vicoli della città vecchia per arrivare a casa. L’incontro con le prostitute era inevitabile, cosí come era scontato il loro approccio. «Hai da accendere?». Con il passare del tempo, però, diventai per loro il solo passante abituale, ma non tanto disattento da non scrutare i loro atteggiamenti e frammenti dei loro discorsi. Mi colpí, per esempio, la definizione che una di loro dava di sé stessa: «Sono una brava puttana casalinga». Cercai di capirla meglio e di farmene una ragione.
Un amico prete un giorno mi chiese il favore di andare a portare un dono a un bambino che abitava nel centro storico, in un palazzo inqualificabile. Questo prete conosceva il bambino, ma, proprio per non compromettere la sua immagine religiosa, non voleva agire in prima persona. Musica a tutto volume, sghignazzi e tramestii vari uscivano da quelle stanze. Riconosco di aver avuto paura. Consegnai il pacco a una donna, identificata come la madre. Poi, però, scendendo le scale, non potei non interrogarmi sul futuro di quel bambino costretto a vivere in quel posto.
Un altro giorno, finito il turno di notte, sotto il solleone di mezzogiorno, mi avventurai fra i vicoli di un tragitto non usuale. La decisione di quella passeggiata era stata dettata da sentimenti non certamente sereni. Ci fu però una sorpresa e fu quella di un inaspettato incontro con un frate che passava di lí per la questua. Nel momento stesso che lo vidi, lo sentii pronunciare questa frase: «Non vedi che sono vecchio?» Era rivolta a una prostituta seminascosta dall’uscio. Malgrado la situazione imbarazzante, il tono della sua voce non esprimeva risentimento, ma serena compassione.
La nuova cameriera della pensione nella quale alloggiavo mostrava un comportamento non proprio consono al suo ruolo, sia negli atteggiamenti personali, sia per le frequentazioni rilevabili fuori lavoro. Una notte dalla porta accanto alla mia camera vidi una luce e il rumore di un pianto sommesso. Pur con disagio, mi feci coraggio e bussai. Di là c’era la cameriera che sfogliava il giornale aperto alle offerte di lavoro. Con molta difficoltà e imbarazzo riuscii a farle delle domande. Mi raccontò di sé stessa, di una storia disgraziata e infelice con un figlio a carico. La sua disperazione, ragione dello stato d’animo momentaneo, era però legata alle umiliazioni che subiva costantemente (compresa quella notte) dalla padrona. Restai con lei a conversare per una mezz’ora circa lasciandola un po’ meno triste, cosí mi sembrò.
Me la vidi davanti dopo molto tempo, una sera, quando con la fidanzata andai a cena in una trattoria Al porto. Era in compagnia di un uomo (un parente? un cliente?). Avemmo solo il tempo di incrociare uno sguardo e sembrò che mi sorridesse.
I brevi episodi che ho descritto non hanno senso preciso, un significato particolare. Ci sono solo persone: un prete che non vuole esporsi; un frate che sa trovare le parole giuste; un cristiano laico che si scopre fragile, indeciso, impreparato come tutti; le prostitute che, dietro al loro mestiere o alla loro situazione, fanno intravedere una umanità dolorosa e offesa.
Tutto questo mi riporta alla mia comunità cristiana che ha come maestro Colui che ci ricorda che il nostro comportamento non è sempre coerente: «Le prostitute ci precederanno nel regno dei cieli». Mentre mi è difficile rapportarmi con la notorietà di certe situazioni scabrose, oggi molto note, mi sento piú comprensivo verso le sfortunate della strada cosí spesso da noi disprezzate. Questo sentimento diventa azione concreta e silenziosa, per esempio, anche da parte di persone della nostra parrocchia che le aiutano a uscire dalla loro situazione.
Leggevo tempo fa sull’agenzia di stampa Adista la lunga e approfondita esperienza di una suora brasiliana, Fernanda Priscilla da Silva, a contatto con le prostitute di strada del suo Paese. Racconta della presenza in loro di uno spirito religioso, seppur semplice e di una ricerca costante di senso alla loro vita. Si sente di affermare che «è proprio nella strada che si realizza la loro esperienza di fede». A conferma riporta le loro parole: «Un giorno ero lí in strada e ho pregato: “Mio Dio, servirò solo a questo? solo a battere? non voglio piú continuare a prostituirmi…”». Molte sono consapevoli dello stato di emarginazione e di peccato, sentono però che «Dio si prende cura di loro». Percepiscono attraverso simboli e gesti la presenza del Sacro nel loro quotidiano. «Le donne – dice ancora la suora – lottano per la sopravvivenza. L ‘amore per i figli, l’allegria, la speranza, la tenerezza, il desiderio di una migliore qualità di vita e l’amore per il Creatore: esprimono il loro riconoscimento del Dio della vita anche in situazione di morte».