Si può trasmettere la fede?

di Giannino Piana

L’espressione trasmissione della fede è ambivalente. Essa può significare che la fede è resa possibile dal succedersi di una tradizione che risale alle origini e che ci è stata tramandata mediante l’istituzione ecclesiale, e in questa accezione risulta del tutto plausibile. Ma può anche significare – ed è questa l’accezione con cui l’espressione viene comunemente usata – che la fede è frutto di un processo comunicativo attraverso il quale si opera direttamente il passaggio dall’educatore a chi viene educato. In questo secondo caso l’espressione è impropria, perché sottende la possibilità di una consegna immediata di un bene che, in quanto è dono di Dio, può essere soltanto ricevuto dall’alto.

L’importanza delle precondizioni

Se questo è vero, non è meno vero che il dono della fede, che è di per sé offerto a tutti, suppone, per poter essere accolto, la presenza di alcune condizioni (o precondizioni), che costituiscono il terreno fertile nel quale il seme gettato può venire recepito e attecchire. In una società come quella del passato, caratterizzata dal regime di cristianità, queste condizioni erano offerte dalla cultura dominante e dalle istituzioni civili fortemente impregnate di valori cristiani o segnate dall’influenza del potere ecclesiastico, che esercitava una consistente pressione sulla conduzione della vita sociale e sulla legislazione che ne regolava lo sviluppo. La famiglia e le diverse agenzie educative risentivano di questo clima, che facilitava (e non poteva che facilitare) il compito della trasmissione delle verità cristiane e dei valori a esse connessi.

Continua sul Gallo stampato… e nel seguito:

  • Quale impegno educativo?
  • La necessità di un’attitudine misterica
  • Il valore della testimonianza