Vent’anni dopo

di Maria Grazia Marinari

Nella settimana dal 19 al 24 luglio si sono svolte a Genova diverse manifestazioni, per ricordare i tragici eventi del luglio 2001, ai margini del G8.
Passati i rituali, mi sembra importante cercare di meditare su tutta la vicenda, soprattutto per provare a smontare la narrazione ufficiale, focalizzata sulle violenze e tesa a oscurare la vera portata di un movimento che doveva essere annullato prima che riuscisse a convincere le masse della serietà, rilevanza e non rinviabilità dei problemi sollevati e da affrontare tutti insieme.
A Porto Alegre (Brasile), dal 25 al 30 gennaio 2001, si era svolto il primo Forum Sociale Mondiale dei membri dei movimenti della società civile per una globalizzazione alternativa. Per cominciare, vale forse la pena di ricordarne per intero l’appello finale:

Forze sociali da tutto il mondo, riunite per il Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre e Ong, movimenti e organizzazioni, intellettuali e artisti, vogliamo creare una grande alleanza per una nuova società, che non sia basata sulla logica dominante, dove il mercato e i soldi sono considerati le uniche misure di riferimento. Noi resistiamo alla élite globale e vogliamo lavorare per l’uguaglianza, per la giustizia sociale, per la democrazia e la sicurezza di ciascuno, senza distinzione.

La storia insegna che ogni forma di potere mette in campo qualunque tipo di forza per mantenere quello che il latino esprimeva con una massima (spesso citata in modo scorretto), ossia: lo status quo ante. La precisione e la concisione di una lingua, tramandata nella forma raggiunta da grandi scrittori e preservata da volgarizzazioni, esprime in modo perfetto la volontà del potere di neutralizzare qualunque tentativo di scalfirlo o contestarlo.
Che le istanze, sollevate in modo perentorio dal Forum e portate all’attenzione di tutti, rappresentassero una seria minaccia alla globalizzazione fondata sul mercato e il profitto, era già apparso chiaramente nel mese di giugno a Goteborg, in Svezia. Ma, certamente, l’Italia, paese in cui servizi deviati, criminalità organizzata e apparati dello stato si sono spesso mischiati in modo ambiguo e opaco, è stata il palcoscenico ideale per reprimere un movimento che, se accolto dalle masse, avrebbe potuto condizionare in modo positivo per l’umanità intera l’inizio del terzo millennio e pertanto disturbato gli interessi delle multinazionali e degli stati forti. La scritta Noi 6 miliardi voi G8, sulle magliette del Genova social forum, era una provocazione inaccettabile, contrapponendo in modo chiaro l’interesse collettivo a quello dei potenti e non riconoscendo il loro diritto a decidere le sorti di tutti. La strategia mirata alla demolizione del movimento è cominciata per tempo con l’invito alla popolazione genovese ad abbandonare la città, ai negozianti a chiudere le loro saracinesche anticipando le ferie e le chiusure estive: molti, preoccupati, hanno accolto l’invito e girare per una Genova spettrale alla vigilia dell’evento era già inquietante.
Ciò nonostante, migliaia, soprattutto di giovani, ma non solo, sono arrivati da tutta Italia e da molti paesi del resto del mondo. Per alcuni giorni discussioni serie sullo stato del globo: dalla fame in molte parti della terra, alle carestie, ai problemi dell’ambiente e del clima, dalla deforestazione alla desertificazione conseguenza delle monocolture, all’eccesso di produzione di idrocarburi, al problema del passaggio dalle monete locali al dollaro che ha reso la vita dell’America latina e dell’Africa sempre piú precaria.
Temi tutti che oggi si sono molto aggravati e che ancora non riescono a trovare una politica efficace di contrasto!
Dopo la manifestazione pacifica del giovedí pomeriggio, dedicata ai migranti e in cui decine di migliaia di persone di etnie, appartenenze politiche e sociali variegate e composite sono sfilate in modo del tutto pacifico, il venerdí è cominciato il redde rationem: ambigui piccoli gruppi di provocatori mascherati e non identificati hanno cominciato a mettere a ferro e fuoco la città, per lo piú ignorati dalle forze dell’ordine che, invece, hanno cominciato ad attaccare le manifestazioni autorizzate e fino ad allora pacifiche con il pretesto di disperdere il cosiddetto black block: questo, per testimonianze dirette, è accaduto a piazza Manin.
Piú confusa e pasticciata la situazione del pomeriggio, culminata con la tragedia di piazza Alimonda e ripetuta, questa volta senza morte, ma ancora violenta e confusa alla Foce sabato mattina. Infine la vergogna della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto.
L’obiettivo però è stato raggiunto, complice la narrazione ufficiale dei fatti: il movimento no global non è stato capace di isolare i violenti al suo interno, le forze dell’ordine hanno, forse, ecceduto nella repressione, ma l’ordine pubblico doveva essere ripristinato, i facinorosi colpiti e, soprattutto, oscurare e non affrontare le problematiche sollevate dai no global. Anni di encomiabile lavoro della magistratura genovese sono riusciti a dimostrare che da parte di alcuni tra le forze dell’ordine sono state compiute azioni delittuose culminate in veri e propri atti di tortura. Purtroppo, come accade anche per la criminalità organizzata, si sono riconosciuti e puniti gli esecutori, ma sui mandanti e la cabina di regia non è stato possibile fare chiarezza del tutto.
A venti anni di distanza, resta l’amarezza di dover constatare come un’occasione possibile di ripensamento sul governo dell’economia, della finanza e della politica mondiale stessa sia stata annullata. Un movimento popolare mondiale sia stato ridotto al silenzio, le giovani generazioni ripiegate verso il proprio ed esclusivo personale interesse. Allontanate sia da un associazionismo forse troppo ingenuo, ma, scientemente, sminuito e insudiciato dal sospetto, sia da una politica forse non all’altezza di molte situazioni, ma, certamente, l’unico strumento per regolare la vita sociale.